Pensieri, idee, riflessioni, visioni e progetti sulla Livorno del 2060 di un gruppo di architetti e artisti livornesi (e non solo).

domenica 31 ottobre 2010

Ciao a tutti, vi inoltro il sito di quel concorso inerente i giardini a Torino di cui vi ho parlato in precedenza
http://www.giardiningiro.it/wp/
andate a guardarvelo perché è un’iniziativa veramente interessante!!
OK per le tre zone in cui effettuare la semina, in questi giorni andrò in giro con la macchina fotografica.
Penso che dovremmo organizzarci per effettuare l’azione tutti insieme in ogni singola zona e che dovremmo essere riconoscibili.
All’inizio avevo pensato ad una t-shirt uguale per tutti, poi mi sono resa conto che la temperatura non ci aiuta in questo momento quindi ero passata ad un passamontagna ma poi cosa faremo quando ci saranno 40 gradi all’ombra?
Alla fine mi sarei risolta per un logo, come già sostiene Luca. In effetti abbiamo bisogno di un logo che ci identifichi, anche una semplice scritta magari, in questo modo potremmo applicarla a magliette, cappelli etc….e a tutto quello che ci potrà essere utile di volta in volta.
Vorrei inoltre sottoporre a tutti un’idea che mi è venuta per le nostre future installazioni verdi.
Potrebbe essere interessante costruire delle vasche su ruote in legno di recupero e di dimensioni contenute, profonde abbastanza da contenere da un albero di dimensioni non troppo grandi o arbusti ad alto fusto ad aiuole fiorite, a seconda della necessità. Queste vasche, per un minimo di 12, adeguatamente piantumate, potrebbero essere spostate da un luogo all’altro della città e sistemate di volta in volta secondo un progetto studiato appositamente a seconda della collocazione.
Una mattina potrebbe spuntare una fila di alberelli in una piazza, la mattina dopo un boschetto in una rotatoria etc…
Se studiate bene potrebbero essere interessanti credo.
Erika

venerdì 29 ottobre 2010

Le mie risposte ad Alessandra

Avevo risposto direttamente ad Alessandra, ma Carmelo mi ha fatto giustamente notare che nessuno (a parte lei) le avrebbe letto quello che avevo scritto.....di seguito vi allego il tutto
Marco

Qual e’ il ruolo dell’architetto nella progettazione socio urbanistica della citta’?


- L'architetto dovrebbe (il condizionale è d'obbligo!!!) essere l'artefice del disegno della città, disegno che implica tutti gli aspetti (almeno i più importanti) della società.

Cerco di spiegarmi meglio....la città nasce principalmente per ospitare persone, è la cosa più elementare da pensare! Senza persone non esistono città! Da questo presupposto devono partire, secondo me, una serie di scelte mirate a soddisfare la “buona ospitalità”....quindi, in generale, devono essere pensati tutti i servizi e le strutture necessarie.

Quello che serve ad una città, allora, viene adagiato su un territorio...inizialmente in modo più o meno casuale lasciando che ogni “cosa” assuma una posizione. Poi entra in gioco una persona (l'architetto??!!) che rappresenta quello che deve mettere insieme tutti i pezzi di questo importante e complicato puzzle. Dalle sue scelte dipende tutto....si possono creare città disordinate, sporche, dispersive, insignificanti...ma si possono anche realizzare buoni progetti che concentrano l'attenzione sulla persona (artefice della città) per creare luoghi ordinati, puliti, immediati e logici...in una parola, inclusivi.

Perchè la cosa più elementare da pensare è che le città siano luoghi che includono le persone e non le escludono...per me la progettazione socio/urbanistica parte da questo importante presupposto...la persona al centro dell'attenzione, e l'architetto può essere quello che decide in un verso o in un altro...con una responsabilità enorme, anche se alcune volte (per essere ottimista) non se ne rende nemmeno conto di quanto le sue scelte possano pesare!!!!


Come sara’ secondo voi Livorno nel 2060 e come sperate che sia?


- Livorno nel 2060? Difficile dire come sarà, spero innanzitutto che non sia come si presenta oggi! Mi riesce più facile provare ad immaginare come vorrei che fosse!!...Ci saranno sicuramente grossi cambiamenti che riguarderanno l'aspetto “fisico” del territorio, ma il cambiamento che auspico e che, per ora non vedo, riguarda l'atteggiamento dei livornesi nei confronti della città.

Mi piacerebbe che nel 2060 le persone si rendessero veramente conto delle potenzialità di questa città di mare, ricca di spunti e di opportunità, mi piacerebbe che queste opportunità ed occasioni rendessero Livorno una città più internazionale, più cosmopolita, invasa e visitata anche da stranieri non necessariamente portati via da grandi pulman verso luoghi diversi.

Mi piacerebbe una città in cui l'aspetto ambientale possa rappresentare anche una risorsa, mi piacerebbe rifare il bagno nei Fossi (come ci viene raccontato succedesse una volta) e vorrei poter attraversare la città senza la macchina. Auspico sistemi di trasporto sotterranei (assolutamente “eco”) per poter passeggiare in superficie o andare in bicicletta, vorrei poter andare in grandi parchi urbani progettati anche a misura di bambino, vorrei che la Fortezza Vecchia ospitasse uno dei più importanti musei di arte moderna e vorrei ritrovare le persone che conosco sul nuovo lungomare realizzato in modo che si possa “vivere” il mare a differenza di oggi che il mare non si vede quasi nemmeno!!! Ecco come vorrei vedere Livorno nel 2060, una città nuova...


Voi siete tre soci e quindi siete abituati a lavorare in gruppo, pensi che lo spirito collaborativi possa realmente funzionare per progettare la città?


La collaborazione, tra noi architetti, è un lato fondamentale della nostra formazione. Fin da subito, all'università, ti fanno lavorare in gruppo...il gruppo, nella normale attività lavorativa, diventa motivo di scambio di opinioni, di confronto ed anche di scontro...ma comunque rappresenta il giusto modo di crescita personale e professionale!

Una buona progettazione, a qualunque scala, non può prescindere dal gruppo di lavoro....


Come sta andando nel gruppo di “Livorno 2060”?


La nascita del gruppo Livorno 2060, rappresenta, per me il “normale” modo di lavorare per pensare e progettare una nuova città...architetti, artisti, creativi in genere tutti sotto lo stesso tetto per il bene comune...tante persone, tutte diverse le une dalle altre, spinte tutte però da una grande carica e da una grande voglia di fare...un metodo assolutamente da far continuare per una città più nostra!

PROSSIMO INCONTRO

Il prossimo incontro è stato fissato per mercoledì 10 ottobre alla galleria di via Michon alle ore 18.00.

Aggiornamenti dopo l'incontro di Mercoledì 27 ottobre

Mercoledì scorso alla galleria Michon non eravamo molti ma rispetto alle riunioni passate mi sembra che siano state prese decisioni più concrete. Ormai direi che l'argomento "verde" è stato eletto come il primo da affrontare. Dico primo e non unico perchè ce ne sono molti altri altrettanto importanti e stimolanti che sicuramente saranno ripresi e sviluppati. Ma da qualcosa dobbiamo partire e l'idea di seminare fisicamente (semi) e metaforicamente (idee, progetti) che tra 50 anni saranno visibili e concreti, mi sembra perfetta per un inizio.
Poi c'è stata la proposta di Alessandra di scrivere un articolo per Il Tirreno che ha portato alla necessità di concretizzare qualcosa. A parte le risposte alle domande da lei formulate ci ha chiesto qualche foto significativa sia del gruppo in riunione che di ciò che vorremo proporre in materia di "verde pubblico". Vista l'impossibilità per il momento di fornire un'immagine progettuale più o meno realistica e la volontà di non svelare troppo su quelle che saranno le nostre prime "azioni", abbiamo deciso (nello scorso incontro, appunto) di elaborare un fotomontaggio volutamente irrealistico e che diventi simbolico di ciò che ri-proporremo più concretamente nei prossimi mesi. Ieri sono stati fatti due tentativi da me (Piazza del Municipio) e da Nicoletta (Piazza della Repubblica). Il primo volutamente esagerato ed anche un pò ironico nei confronti della tendenza livornese a piantare palme ovunque, il secondo altrettanto provocatorio e forse più "bucolico". Da notare la presenza, nella ambientazione davanti al municipio, di un grande scimmia, inserita da Giulia che propone di farla diventare "protagonista" del nostro LOGO (in fase di studio).
Comunque se qualcuno vuole provare qualche altra elaborazione di fotoritocco (anche "manuale") ben venga .... ma tenete conto che per motivi di "stampa" dovremmo dare tutto ad alessandra al più presto.
Questo è quanto è emerso dall'ultimo incontro. Ho ritenuto giusto riportarlo sul blog dato il numero non troppo alto di chi ha partecipato mercoledì. Come sempre vorremmo che anche chi non riesce ad essere presente agli incontri, si sentisse coinvolto, esprimesse la propria opinione e desse il proprio contributo.

A presto.

Lucia


Risposte di Lucia

Avevo inviato le mie risposte ad Alessandra già da parecchio tempo ma vista la richiesta (giusta) degli altri di condividerle con tutti, accole anche sul blog:

Qual e’ il ruolo dell’architetto nella progettazione socio urbanistica della citta’?
Un architetto dovrebbe educare al bello con ciò che progetta e al rispetto verso ciò che già esiste. Bellezza e rispetto sono parole profondamente legate. Raul Pantaleo (architetto che progetta ospedali per Emergency) scrive a proposito della ballezza: " cura delle cose, dei dettagli, delle proporzioni, attenzione alle persone; in sintesi rispetto. Dal rispetto non può che nascere qualcosa di bello, non può essere altrimenti".
Inoltre aggiungo che un architetto dovrebbe riuscire a valorizzare luoghi insignificanti e a mantenere alto il livello di ciò che è già apprezzato. Trasformare aree degradate o anonime in luoghi dove vivere risulta piacevole e mantenere vitali le parti della città degne di salvaguardia senza snaturarle né farle diventare anacronistici musei fuori dal tempo.

Come sara’ secondo voi Livorno nel 2060 e come sperate che sia?
Immagino Livorno tra 50 non troppo diversa da quello che è oggi, una città di mare dove il mare è vissuto e protagonista sia nelle abitudini che nelle menti dei livornesi. La immagino ancora un po' degradata e con aree che faranno pensare ad occasioni perdute ma anche con qualcosa di positivamente nuovo e inaspettato. Credo che 50 anni siano pochi per cambiare radicalmente le cose ma sufficienti per intraprendere un cammino e vedere dei risultati. Ciò che spero è che nel 2060 le persone siano più rispettose, consapevoli e capaci di valorizzare ciò che hanno e non pensino solo al loro piccolo vantaggio trascurando etica, estetica e crescita comune. Spero anche che nel giro di qualche decennio si possa vedere concretamente qualche buona architettura.

Voi di 70m2 siete tre soci e siete abituati a lavorare in gruppo, pensi che lo spirito collaborativo possa realmente funzionare per progettare la città?
Non potrei fare a meno del lavoro di gruppo, per me sarebbe inconcepibile. Dalla piccola alla grande scala di progettazione è fondamentale confrontarsi, avere conferme da un diverso punto di vista e anche fare qualche rinuncia essendo consapevoli del fatto che il risultato complessivo sarà più convincente. Nella progettazione della città poi le competenze che entrano in gioco sono ancora più complesse e per lavoro di gruppo intendo non solo quello con colleghi "tecnici" ma anche con esperti di altre discipline (sociologi, artisti, psicologi, etc.)

Come sta andando nel gruppo di "Livorno 2060"?
L'esperienza che stiamo portando avanti con Livorno 2060 per me è stata una sorpresa. Non credevo che tante persone, con tutte le loro diversità, potessero avere una così ampia condivisione di idee. Ogni volta che qualcuno propone un argomento, un progetto, un punto di vista diverso riceve un grande consenso spontaneo e disinteressato. Per il momento il disaccordo che comunque sarebbe lecito, non fa parte delle reazioni che emergono durante i nostri incontri. Dico la verità, all'inizio ero scettica sulla riuscita di questo progetto ma ora comincio a pensare che possa venir fuori qualcosa di veramente tangibile i cui risultati si vedranno nel tempo.
Dobbiamo iniziare subito a "seminare" e senza avere fretta continuare a farlo, abbiamo 50 anni davanti …

giovedì 28 ottobre 2010

Ciao a tutti,
mi dispiace tantissimo di non aver partecipato all’incontro di ieri sera.
Un medico poco compiacente mi ha bloccato nella sua sala d’aspetto per un tempo vergognoso e mi sono persa l’appuntamento.
A parte il piacere di vedere tutti voi avevo anche delle cose interessanti da raccontarvi.
Provo a riassumerle sul blog per poi magari approfondire la questione nel prossimo incontro.
La scorsa settimana sono stata a Torino (colgo l’occasione per consigliare a chiunque ci stia leggendo di andare a fare un giro da quelle parti ) e ho potuto osservare gli orti urbani che slow food aveva realizzato per il salone del gusto: semplici ed efficaci vasche di terra contenuta da tavolame da cantiere dove erano piantate verdure di vario tipo ed erbe officinali. Ed ho pensato: al di là dell’orto che in effetti richiederebbe una manutenzione quotidiana, perché non usare la stessa tecnica per realizzare veri e propri progetti di arredo urbano da noi redatti in aree centrali dove il verde non è previsto?
Costa poco, è veloce da realizzare e di sicuro impatto emozionale.
Inoltre mi sono ricordata di un concorso indetto dal comune di Torino un paio di anni fa in cui si chiedeva ad una dozzina di artisti/architetti di creare dei giardini estemporanei in zone pre-assegnate di un unico quartiere degradato della città. Ognuno realizzò cose diversa: chi faceva tracimare alberi dalle finestre, chi aveva appeso piante a fili volanti, etc….
Perché non cercare di varare un’iniziativa simile?
Cercherò di documentarmi per il prossimo incontro.

Colgo l'occasione per rispondere ad alcune delle domande di alessandra.


che cos'è Livorno 2060
Un gruppo di persone creative (creatività intesa come capacità di spostare lo sguardo in senso laterale rispetto alla situazione contingente) che spera di poter cambiare la direzione inesorabilmente presa dal destino di questa città tramite l’interazione di gruppo, la crescita culturale e quindi personale.
La speranza è quella di ottenere risultati concreti ma anche soltanto focalizzare l’attenzione dei distratti livornesi sulla questione sarebbe un raggiungimento.
perchè formare un gruppo di architetti e artisti per immaginare una città  futura?
Tutti i cambiamenti hanno bisogno di menti tecniche e visionarie. Non esiste cambiamento senza le due cose. A voi decidere chi è il tecnico e chi il visionario.
quali risultati ti aspetti da questo gruppo di lavoro?
Di tenere duro. Abbiamo la stoffa per farlo, e lo dobbiamo fare.
esiste una città  ideale?
Esiste una speranza di città a misura d’uomo, ognuna diversa dall’altra a seconda dei luoghi e dei popoli. E’ un miraggio per ora irrealizzato.
Perché partire dal verde pubblico?
E’ una necessità e una dimostrazione. Da oggi ci siamo anche noi!
Come sarà  secondo voi Livorno nel 2060 e come sperate che sia?
Livorno nel 2060 sarà quello che ci siamo meritati. Pensiamoci.
alcuni architetti sono abituati a lavorare in gruppo, pensi che lo spirito collaborativo possa realmente funzionare per progettare la città ?
Lo spirito collaborativo è sempre auspicabile, in ogni campo. Il contrario non favorisce nè crescita personale né tantomeno professionale e porta invariabilmente alla mediocrità.
Come sta andando nel gruppo di Livorno 2060?
Ottimamente direi!

Ciao a tutti, Erika Bartoli

mercoledì 27 ottobre 2010

Livorno. 2060” è un tentativo ,una visione ,vorremmo superare l’attualità e confrontarci con un futuro inimmaginabile.
50 anni sono troppi per fare previsioni ragionevoli ,troppi eventi imprevisti (naturali,economici,sociali…)possono verificarsi per sconvolgere,capovolgere qualsiasi previsione.
La nostra società ,intendo nel suo complesso dai settori dirigenziali alle strutture di base non riesce a confrontarsi con il futuro a lunga scadenza,a progettare i cambiamenti, vedere dove vuol andare.
La politica stretta in un meccanismo di consenso ad ogni costo,non trova soluzioni lungimiranti per i grandi problemi delle città dei territori e degli uomini.
Il risultato sono scelte di bassa qualità spesso contraddittorie ,che si accontentano di tamponare,raffreddare emergenze,rimediare errori precedenti.
Noi di “Livorno 2060” abbiamo in comune la sofferenza di vedere la nostra città,il nostro territorio teatro di molte occasioni perse (passate e a venire) e che non riesce ad elaborare una strategia organica per il futuro ..usando le proprie potenzialità.
Ci siamo riuniti per produrre degli interventi sul futuro che possono essere utopici,visionari,creativi o realistici….con una visione negativa o positiva ma per dire che si può ragionare anche su un orizzonte più ampio.
L’incontro fra architetti e artisti è venuto naturale ,per affinità credo, ma vorremmo avere il contributo di tutti quelli che hanno qualche idea,che hanno qualcosa da dire se soprattutto condividono con noi quella sofferenza .
Anzi direi che è fondamentale che andando avanti si aggiungano nuove competenze e contributi…..il nostro è un progetto aperto.
Il primo risultato è senz’altro la costituzione del gruppo,la risposta avuta, e sarà un bel risultato la conferma di questo gruppo,la prosecuzione del lavoro…. sono molto curioso degli sviluppi.
È il mio modo di fare politica,non mi riconosco e non sono portato alla politica come si manifesta comunemente .Vedo questa iniziativa come sperimentazione politica(a livello locale),probabilmente ininfluente ma in un certo senso ci collega al mondo, dovremmo essere come una piccola cellula collegata con l’esterno.
Dal punto di vista pratico mi aspetto di realizzare dei progetti(in varie forme….azioni,plastici,scritti,video ed altro) che possano provocare discussione nel nostro territorio.
Non sono sicuro che riusciremo a farci ascoltare perché è molto difficile su questi temi.

Cara Ale , la domanda sulla città ideale mi pare abbastanza complessa…non so se ho gli strumenti per rispondere,mi ci vorrebbe molto più tempo…..ma provo a dirti cosa ne penso.
Io non credo al primato dell’uomo sulla natura,l’uomo non è centrale ,è nato pochi anni fa(in confronto ai tempi geologici)e per fortuna e perché è necessario! sparirà fra non moltissimi anni.
L’uomo non accetta il divenire (ne ha paura)la trasformazione della natura ..compreso se stesso………….Scusa non voglio fare filosofia spicciola…. ma volevo solo dire che secondo me la città ideale è quella che sa trasformarsi ,che accetta di cambiare .
La città abitata da uomini che vivono serenamente la temporaneità e la propria condizione di parte della natura.
Una città dove flora e fauna hanno lo stesso peso degli umani.

martedì 26 ottobre 2010

Commento all'ultimo post di Gino

Chapeau!

Risposte per Alessandra

Posto le mie risposte alle domande di Alessandra, per quanto quelle di Carmelo siano largamente condivisibili. Ho cercato di essere sintetico al massimo. Poi scappo in comune e quindi mi rilasso con l'ultimo capitolo della saga di Gino. cisidomani

che cos'è Livorno 2060?

Un laboratorio, speriamo permanente, sul futuro della città.

perchè formare un gruppo di architetti e artisti per immaginare una città futura?

Effettivamente non credo che siano gli architetti i più adatti a immaginare la città futura, non è un caso che l'idea sia di un artista, Enrico Bertelli. Speriamo che, se il gruppo si consolida, si possano aggiungere anche persone di altra formazione.

quali risultati ti aspetti da questo gruppo di lavoro?

1.Un confronto con gli altri depurato dalla meschinità intellettuale delle questioni che normalmente vengono poste nella quotidianità professionale. 2. l'esecuzione di un certo numero di”Azioni”

esiste una città ideale? Qual'è secondo te?

Fatta salva tutta la ampia letteratura esistente io dico che la città ideale esiste solo come categoria filosofica o , al limite, come esercizio di stile. La città ideale appena si cristallizza in un' idea immediatamente dopo si dissolve perchè già vecchia. La città non è i suoi mattoni ma la sua gente e quindi nessun Urbanista, pianificatore o progettista, che dir si voglia, potrà mai sostituirsi a quella stratificazione di storie che disegnano lo spazio che gli umani condividono dal giorno che hanno deciso che stare insieme era meglio che stare da soli. In questi primi mesi di incontri con Livorno 2060, durante i quali abbiamo parlato e scritto a ruota libera, sono, secondo me usciti fuori alcuni “ingredienti” che, probabilmente, sono fondamentali alla ricetta di livorno 2060, e anche se non sono sufficienti a cucinare la torta “città ideale”, sono indispensabili per fare almeno una buona minestra. Per me questi ingredienti sono:

VERDE

IDENTITA'

MOBILITA' DOLCE

MIX SOCIALE

perchè partire dal verde pubblico?

Vedi sopra, solo una precisiazione: secondo me in una città l'espressione “verde pubblico” è tautologica

qual'è la funzione di uno spazio verde nella città?

Il verde fa bene alla salute e all'ambiente: purifica l'aria da inquinanti e polveri sottili, cattura anidride carbonica, produce ossigeno e consente di risparmiare energia per il condizionamento. Il Verde fa bene allo spirito: Il benessere visivo procurato da un albero nessun edificio potrà mai eguagliarlo. Il verde è spazio comune per definizione: poco verde=poche relazioni

come nasce l'idea delle Seed Bomb?

Vogliamo iniziare con un azione chiara come intenzioni ed efficacie come visibilità. L'idea iniziale era di piantare direttamente degli alberi, ma poi abbiamo pensato che fosse più rappresentativo, visto che abbiamo a disposizione i 50 anni che ci separano dal 2060, piantare dei semi. Il modello è quello dei “guerrilla gardening”

si parla molto di partecipazione, oggi le amministrazioni se ne appropriano mettendo in campo dei processi che realmente non hanno niente a che fare con la partecipazione cittadina. Che ne pensi? Esiste una architettura partecipativa? Funziona? (qualche esempio)

....argomento vasto e difficile. La pianificazione urbana, nelle società democratiche, è o dovrebbe essere partecipata per definizione. La partecipazione più efficacie è quella che parte dal basso, quando parte dalla politica rischia di diventare slogan o, peggio, rischia di essere “guidata”.

qual'è il ruolo dell'architetto nella progettazione socio urbanistica della città?

Fondamentale ma inutile se non si avvale di tutte le componenti, culturali, intellettuali e popolari della città stessa

Come sarà secondo voi Livorno nel 2060 e come sperate che sia?

Non si può aggiungere nulla a quello che a detto Carmelo: lo sapremo in una fase più avanzata di questo laboratorio.

alcuni architetti sono abituati a lavorare in gruppo, pensi che lo spirito collaborativo possa realmente funzionare per progettare la città?

Lo spirito collaborativo è, o dovrebbe essere, l'elemento maggiormente costitutivo e fondativo dell'idea stessa di città

Come sta andando nel gruppo

bene grazie :-)

Luca Difonzo

lunedì 25 ottobre 2010

Shopping

Gino fa spese

Gino era riuscito a rintracciare i proprietari del materiale ritrovato nel sottoscala ed aveva fissato un appuntamento per la consegna di numerosi jpeg dei loro giorni passati. Era gente molto facoltosa ed il viaggio al Carnevale carioca in California non sembrava più un sogno irraggiungibile. Voleva presentarsi bene ed aveva bisogno di una giacca nuova; fece un'accurata ricerca su internet, decise cosa comprare ed andò nella boutique sotto casa per effettuare l'acquisto.

I negozi di abbigliamento adesso erano tutti molto piccoli e non avevano merce esposta o magazzini, poichè la scelta del capo si faceva con calma a casa consultando i cataloghi on line; ci si andava solo per verificare la stoffa, per vedere il colore e soprattutto per la taglia. Un tempo invece gli acquisti si facevano interamente via internet e tutto si sceglieva dal computer; però la dilagante insoddisfazione per misure imprecise, materiali deludenti e colori assai diversi da come apparivano sullo schermo, avevano reso necessario l'apertura di una rete capillare di punti di vendita reali sul territorio, di contatto diretto con il pubblico. Erano strutturati tutti più o meno alla stessa maniera: appena si entrava si passava attraverso un body scanner che rilevava in un attimo ogni misura possibile del cliente, da capo a piedi; dopo la scansione il sistema aveva immagazzinato i dati per scarpe, camicie, abiti, guanti, pigiami, fruit … qualsiasi capo. Naturalmente per gli utenti abituali le informazioni erano già nel database ed eventualmente, magari dopo un periodo di abbuffate di buristo fritto, di scottiglia o di picchiante in padella, si poteva chiedere di aggiornarli. Si passava poi alla scelta delle stoffe, potendo toccare con mano i campioni per valutarne consistenza, pesantezza, trama, caratteristiche. C'era di tutto: tessuti che si termo-regolavano automaticamente, dilatando o chiudendo le trame dei fili, in modo che facessero traspirare di più il corpo oppure trattenessero meglio il calore; panni in grado di accumulare l'energia cinetica che si produceva con lo sfregamento e quindi restituirla per ricaricare l'ipod o l'apricancello; molto divertenti quelli che cambiavano colore al variare della temperatura: le signore gradivano uscire la mattina in bianco, per ritrovarsi la sera, quando l'aria rinfrescava, fasciate in un seducente rosso Valentino, senza bisogno di cambiarsi d'abito.

Una volta trovati materiali e colori si sceglieva la combinazione: si poteva fare qualsiasi mescolanza, decidendo magari per una giacca con una manica diversa dall'altra con toppe delle tasche differenti e colletto ancora variato: la gente si abbigliava in modo molto variopinto ed eclettico. Per la produzione non c'erano problemi. I dati della scansione, i codici della componentistica scelta dal cliente, i ral dei colori, venivano trasmessi in tempo reale alle fabbriche. Qui immediatamente partiva il confezionamento del capo; tutto si svolgeva in maniera automatica, sotto la gestione dei calcolatori; le macchine tessili lavoravano incessantemente, al buio per risparmiare energia, senza bisogno di personale, controllate dai computer che immettevano i dati ricevuto dal negozio; da sole sceglievano le pezze, le tagliavano rispettando infallibilmente le misure scansionate ed assemblavano, di solito con termo-incollaggio, maniche, tasche, spalle, revers e quasi in tempo reale il capo era pronto. Veniva poi mandato, già imballato, all'ufficio spedizioni che prontamente lo inviava a casa del cliente. Nel giro di due o tre giorni, la bellissima salopette con gambali in fibra antibatterica, pettorina trattata anti UV, tasche a soffietto in tessuto gommato, ovviamente una gialla ed una rosa, era a destinazione e vestiva perfettamente, tagliata su misura come un capo di Gieves & Hawkes in Savile Row, la sartoria di re Carlo di Inghilterra (ora finalmente sul trono).

Alla fine dell'acquisto si passava a saldare il conto in gratteria, detta così perchè qualsiasi pagamento era affidato al metodo “gratta e vinci”. Grattando si stabiliva quanto pagare, come pagare e quando pagare. Ogni articolo aveva il suo prezzo, ma grattando si poteva scoprire che sconto si era ottenuto o addirittura avere la gradita sorpresa di averlo vinto; per le cose più costose, pagabili a rate, grattando non solo si scopriva se era gratis o quanto era scontato, ma anche se doveva essere pagato subito o se poteva essere rateizzato ed infine con un'ulteriore grattata in quante rate pagarlo: se uno aveva fortuna, poteva avere una rateazione pluridecennale, con una rata talmente irrisoria da non accorgersene nemmeno.

Anche il pagamento delle bollette, dei contributi, delle tasse, seguiva lo stesso metodo e tutti correvano lieti a grattare, anche per questi odiosi balzelli. Addirittura i mutui per le case erano lasciati alla sorte di una grattata (se ti andava bene, mutuo a tasso zero durata centoventi anni, trasferibile per tre generazioni).

Era stata un'idea del ministero delle finanze italiano quella di applicare il gratta e vinci ad ogni forma possibile di movimento di danaro. L'obiettivo era quello di introdurre un efficace stimolo all'economia (la gente era indotta a comprare di più nella speranza di spendere meno o addirittura nulla con una vincita) ed allo stesso tempo di favorire il pagamento di tasse e tributi, sempre con la chimera che si poteva pagare meno o con lunghe rateizzazione. L'idea era bizzarra, ma funzionava.

Del resto era un'invenzione dello stesso ministero che anni addietro aveva avuto la stupefacente idea dell'Iperenal8 per risanare la voragine del debito pubblico italiano, arrivato a cifre inimmaginabili.

Era tutto basato sul calcolo probabilistico che la vincita dell'Iperenal8, che si otteneva azzeccando addirittura 8 numeri anziché i 6 dell'antico superenalotto, non sarebbe mai uscita; in effetti Gino da un calcolo sommario aveva valutato che si trattava di una probabilità ogni 77 miliardi circa.

Così lo stato italiano per riempire le sue casse, oltre che trattenere la percentuale sulle giocate, incamerava anche il montepremi, nella certezza che nessuno avrebbe mai potuto vincerlo e reclamarlo. Il montepremi, che si accumulava da decenni, era diventato una cifra assurdamente astronomica, con tanti zeri da riempire una riga, che attirava giocatori da ogni parte del pianeta. Con la grande interconnessione globale chiunque poteva fare la giocata e l'estrazione, prima a giorni alterni, poi quotidiana, aveva adesso una cadenza oraria. L'importo colossale attirava miliardi di scommettitori da ogni parte del pianeta: con un comune cellulare il contadino afgano, il pescatore del Baltico o il finanziere di Mumbay potevano inviare la giocata che automaticamente trasferiva sul conto dell'agenzia delle entrate almeno 1,12 eurasi (era questo il costo minimo della schedina), facendo affluire complessivamente ogni ora alcuni miliardi di eurasi, che permettevano di tenere in florido attivo i bilanci del nostro stato, benché notoriamente spendaccione. Non c'erano vincite intermedie (sei, sette, cinque più uno...): era un vinci-perdi e lo stato tratteneva tutto.

Nessuno sembrava preoccuparsi che prima o poi qualcuno avrebbe vinto e reclamato le migliaia di migliaia di miliardi del montepremi: la fiducia nella improbabilità matematica dell'evento era totale e poi ogni ministro, facendo i rituali scongiuri, si raccomandava al beato Silvio, che di queste magate se ne intendeva, implorando che la fatale combinazione, se mai avesse dovuto verificarsi, venisse estratta durante il mandato del suo successore e non durante il suo. Così si andava avanti di anno in anno, trasformando il debito pubblico nel vertiginoso montepremi che un fantomatico vincitore un improbabile giorno di chissà quale epoca avrebbe potuto esigere.

Lo stimolo all'economia con il gratta e vinci ed il risanamento del dissesto finanziario con l'iperenal8 avevano procurato ai fantasiosi dirigenti del ministero delle finanze italiano la nomination per l'Ig Nobel (si pronuncia ignobel, come ignobile in inglese), la benemerita istituzione dell'università di Harvard, Massachusetts, che dal lontano 1991 premiava ogni anno le invenzioni più stravaganti ed assurde, scelte tra quelle pubblicate sul suo bimestrale “Annals of Improbable Researches”. Nessun funzionario italiano si era mai presentato alle cerimonie al Sanders Theatre di Boston e gli ambiti trofei giacevano dimenticati nei magazzini del MIT, con la targhetta “First Prize for Creative Finance – Property of Italian Ministry of Finance”.

Una volta definito in gratteria l'importo da pagare, si andava alla cassa. Ovviamente niente contante, ma solo il cre_dito, lo strumento che aveva sostituito la carta di credito. Si digitava l'importo ed il codice del negozio, poi si poggiava il dito sullo schermo del cellulare o dell'apposita macchinetta di cui ogni bottega disponeva ed il pagamento era fatto: l'impronta digitale al posto del chip o della banda magnetica o della password, molto più semplice e sicuro. L'unico problema era che qualche volta i rapinatori, invece di portarti via il portafoglio, cercavano di staccarti un dito; si ovviava indossando, nelle zone meno sicure, i guanti di maglia di ferro di foggia medioevale.

Dopo l'acquisto della bella giacca “tailor made”, Gino si ricordò che il frigo era un po' vuoto, specialmente di frutta e doveva quindi passare dal verduraio.

I prodotti agricoli adesso venivano quasi tutti dalle vicine campagne: le necessità energetiche e le conseguenti problematiche di distribuzione avevano favorito lo sviluppo dell'agricoltura nei territori intorno ai centri abitati che venivano riforniti con brevi spostamenti di merci.

Le coltivazioni però dovevano fare i conti con le variazioni climatiche. Le colline del Gabbro erano specializzate nella coltura delle gabbrane, banane nane della qualità Ladyfinger, che crescevano in estese piantagioni, prevalentemente di proprietà di immigrati di paesi latino-americani, che già avevano familiarità con queste coltivazioni. La qualità della piccola banana gabbrigiana era ottima ed aveva ottenuto anche la Denominazione di Origine Protetta; qualcuno aveva pensato di chiamarla “gabbana” (da gabbro e banana) e siccome era dolcissima propose “la dolce gabbana”, ma ci furono problemi di copyright con una nota firma dell'industria della moda e fu registrata quindi come “gabbrana”.

Ottimi anche gli ananas locali, coltivati prevalentemente nelle pianure a sud di Livorno, nei terreni delle nobili aziende che un tempo producevano celebri vini. Ora al posto dei poderi a vigneti si vedevano solo le estese piantagioni cespugliose degli ananassi e le fattorie li lavoravano in cento modi: sciroppati, succhi, marmellate, sotto spirito...la cultura dell'ananas aveva sostituito quella della vite e del vino. Dalle parti di Rosignano Solvay ne veniva prodotta anche una qualità di colore rosa: molti si chiedevano se questa singolare variazione non dipendesse dalle scorie residue di un'antica fabbrica chimica, che già avevano sbiancheggiato le vicine spiagge di Vada. Comunque l'Anans Rosè di Rosignano (anch'esso DOP) piaceva molto, soprattutto in nord America e la produzione per l'export andava a gonfie vele.

Acquistò anche un paio di manghi che venivano dalle campagne di Piombino, noti per la loro polpa di un bel colore rosso intenso, anziché gialla (forse anche per loro un effetto della polluzione delle storiche acciaierie!?).

Gino già pregustava una sfiziosa macedonia tropicale, o meglio, tirrenica....

Fece in tempo a fare anche un salto dal corniciaio: doveva in tutti i modi adeguare gli schermi di casa alle nuove normative sulla sicurezza. I corniciai erano quelli che vendevano le protezioni da mettere lungo i bordi di tutte le apparecchiature super sottili che riempivano abitazioni ed uffici. La corsa, sotto molti aspetti inspiegabile, a ridurre sempre di più lo spessore di schermi tv, portatili, cellulari, aveva superato ogni ragionevole limite ed il virtuosismo tecnologico dei produttori aveva sì raggiunto risultati eccezionali, ma aveva anche riempito le nostre tasche e le nostre case di pericolosissimi gadget. Guai se ti scivolava di mano un netbook o uno smartphone: poteva tagliarti di netto falangi ed alluci; tutto doveva essere saldamente fissato a scrivanie, mensole, supporti o contenuto entro protezioni di sicurezza; la gara tecnologica verso l'assottigliamento sfrenato aveva ottenuto un risultato opposto agli obiettivi: nessuno correva più il rischio di portarsi dietro i taglienti portatili e gli ultraleggeri cellulari, diventati lamine implacabili per le dita, dovevano essere protetti con pesanti fodere imbottite.

I traslochi erano diventati un vero rischio per i facchini ed al momento di rimuovere le lastre spesse pochi micron degli schermi tv, magari di 120 pollici, che potevano mandarti all'altro mondo perfettamente separato in due parti uguali, era obbligatorio il PSC, il POS e la presenza del Coordinatore della Sicurezza in Fase Esecutiva, come disposto dai recenti aggiornamenti legislativi in materia di sgomberi.

Fu necessario quindi imporre che ad ogni apparecchio venisse applicata una robusta e spessa protezione lungo il bordo; le botteghe di corniciai si moltiplicarono e prosperarono, offrendo prodotti di ogni stile e materiale.

Gino apprezzava molto quelle all'antica, in termoplastica dorata a motivi floreali di acanto o in pvc finto legno di mogano intarsiato finto avorio o in similpelle di antilope color verde pisello con frange di terital, e pensava a quanto gli algidi materiali moderni ... grafene, titanio, niobio, carbonio... ci avessero invaso e stancato, mentre il passato, con i suoi bei prodotti genuini e naturali (quasi), avesse ancora tanto da offrirci ...

....."Se sei un uomo libero, allora sei pronto a metterti in cammino"..... (Thoreau)

Mi ha affascinato da subito l’idea degli architetti di 70m2 e di Luca e ho partecipato con entusiasmo alle riunioni del gruppo. Ho provato a tenere a bada il pessimismo che da anni nutro sul futuro delle città e, senza nulla togliere agli urbanisti, sul ruolo degli architetti nel disegnarne il futuro e le trasformazioni. Io penso che davvero non si debba più costruire qualcosa di nuovo, o almeno che si debba limitare la nascita di nuove periferie che ormai sono tutte uguali e sempre più simili tra loro da a Barletta a Roma o Portogruaro. E non solo per la cattiva qualità architettonica, ma anche per le tensioni sociali che stanno innescando.
Mi è piaciuto moltissimo e condivido pienamente quello che ha scritto Erika, e che Lucia e i ragazzi di 70m2 stanno portando avanti, e cioè che “....la città siamo Noi... tutti coloro che questo problema lo affrontano.... e che si chiedono cosa fare, le persone che sanno a cosa si può anelare e che anche solo fondando un movimento o riunendo un po’ di menti creative o mettendo insieme un gruppo di architetti e di artisti un po’ inquieti e visionari cercano di trovare una soluzione... la mostra permanente delle idee che produrremmo, dove poter organizzare esposizioni, letture, installazioni o qualsiasi iniziativa venga varata da ciascuno di noi e che possa interessare il progetto di una città migliore....”Ben venga quindi una partecipatissima adesione di menti pensanti e aperte al confronto e al dialogo, per un dibattito aperto a tutti. Sono fortissimi gli interessi opposti per lo «sviluppo sostenibile del territorio», in quella che ormai viene definita la “Città Infinita”, e che evoca inesauribili frontiere su cui far avanzare la marcia di villette e capannoni.
Proviamo a far passare il messaggio che sviluppo e qualità della vita, non sono sinonimo di nuovi quartieri, tangenziali, centri commerciali infiniti, luci al neon. Che costruire in modo sostenibile non significa solo aggiungere qualche pannello solare qua e la o utilizzare materiali isolanti riconvertiti in chiave “eco” solo con l’aggiunta di un aggettivo: come cavolo si può parlare di “poliuretani ecologici” come vorrebbero farci credere le industrie dei prodotti per l’edilizia?
Lavoriamo all’idea che non è poi così necessario costruire nuovi edifici ma che si può pensare a una riqualificazione e la recupero di molta dell’edilizia esistente, senza occupare il territorio con il cemento o l’asfalto. Ma questo forse è il limite della mia idea di architettura; dalla metà degli anni 80 mi occupo solo di risparmio e di recupero energetico di edifici esistenti e dell’integrazione architettonica delle fonti rinnovabili per la produzione di energia. Nuovi edifici ma solo se davvero sostenibili e solo quando sono assolutamente indispensabili.
 
Due siti
www.club-of-budapest.it
Il Club di Budapest fondato nel 1993, è un'associazione internazionale dedicata a sviluppare un nuovo modo di pensare e nuove etiche che aiuteranno ad affrontare i cambiamenti sociali, politici ed economici del XXI secolo.
www.creativiculturali.it
Sono le persone che desiderano una società più giusta e pacifica, un'economia etica, uno sviluppo ecosostenibile, un'umanità più consapevole. Sono coloro che, in Italia e nel mondo, auspicano stili di vita più sani e autentici, ispirati ai valori della pace, dei diritti umani, dell'ambiente, della qualità della vita, delle relazioni consapevoli e costruttive, della crescita personale e spirituale.

Due libri:
Delfina Rattazzi - Storie di insospettabili giardinieri
Mario Rigoni Stern - Arboreto selvatico

Provo a rispondere a qualcuna delle domande che ha posto Alessandra, sono solo le mie idee, vorrei condividerle con voi; le risposte ovviamente sono “aperte” e da integrare con i contributi di tutto il gruppo. Le ho pensate come una traccia per un dibattito aperto e che le risposte da dare ad Alessandra siano, appunto, il risultato delle nostre discussioni.

1 - che cos'è Livorno 2060?;
Un Laboratorio, un “Atelier” aperto a chi come noi abbia come obbiettivo il coinvolgimento della cittadinanza e dei media in forma attiva, per cercare di attuare una politica (nell’accezione originale del significato vero del termine: la partecipazione all'amministrazione della "polis" per il bene di tutti al quale tutti i cittadini partecipano e non esclusivamente chi fa politica attiva) di risanamento e valorizzazione ambientale e sociale del territorio, cercando di superare quel muro che ne separa l'uso privato da quello pubblico. L'abbattimento di questo muro porta all'uso comune di fattori e beni che stanno cercando di portarci via, privatizzandoli e sottraendoli all'uso ed alla gestione comune; oltre all’energia, la sanità, la scuola e tra non molto l’acqua e anche i beni demaniali. La città è una costruzione collettiva e pertanto deve essere capace, con il coinvolgimento dei suoi amministratori e dei suoi abitanti, di riflettere su se stessa e agire di conseguenza.
Forse, dall’idea di “Livorno 2060” può anche partire una nuova strategia di comunicazione: città, ambiente e territorio sono la nostra casa comune.
2 - perchè formare un gruppo di architetti e artisti per immaginare una città futura?;
Alcuni architetti ed artisti hanno pensato a Livorno 2060, io spero che non ci si fermi solo a queste due categorie ma che si possa allargare ad altre professionalità per un dibattito molto più ampio. Mi piacerebbe che del gruppo facessero parte economisti, sociologi, antropologi agronomi etc..
3 - quali risultati ti aspetti da questo gruppo di lavoro?
Intanto un dibattito aperto che porti alla raccolta di idee e contributi diversi per la salvaguardia del territorio, cioè quel bene comune che rappresenta la storia e la cultura di una comunità. Quel bene che va tutelato, protetto, ripensato e sviluppato nell’ottica del suo uso sostenibile affinchè non si cancelli la sua storia. La partecipazione popolare nella gestione delle fonti energetiche ed idrauliche, nelle scelte sanitarie e nelle riqualificazioni territoriali, può portare ad un indirizzo condiviso con chi il territorio lo vive e lo respira, evitando opere inutili per concentrarsi su quello che viene sentito come necessario ed utile. Forse, dall’idea di “Livorno 2060” può anche partire una nuova strategia di comunicazione: città, ambiente e territorio sono la nostra casa comune.

4 - esiste una città ideale? Qual'è secondo te?;
Purtroppo temo che non esista. La ricerca su questo argomento che ha accompagnato l’uomo lungo tutta la storia è cominciata nell’antichità. Il tema è stato ampiamente dibattuto a partire dalla metafora biblica della Torre di Babele nel Libro della Genesi, la cui costruzione non ha dato dei grandi risultati! Diciamo che la materia è stata ed è ancora una riflessione teorica, un’utopia più filosofica che una realizzazione reale.
Filosofi, artisti, urbanisti (solo qualche nome: Platone, Filarete, Tommaso Moro, Tommaso Campanella, Piero della Francesca o chi per lui, Leonardo da Vinci, sino a Le Corbusier, Niemeyer e molti urbanisti contemporanei. La risposta è difficile e occuperebbe diverse pagine.
Proviamo a dare una risposta sintetica collettiva
5 - perchè partire dal verde pubblico?;
........................................
6 - qual'è la funzione di uno spazio verde nella città?;
Il verde è sempre stato considerato l’elemento fondamentale per creare spazi urbani di qualità; vedi i grandi parchi pubblici nelle città anglosassoni ma anche i giardini ad uso privato nei quartieri più esclusivi delle città; i giardini delle residenze reali (Boboli, Versailles, Caserta) etc.
7 - come nasce l'idea delle Seed Bomb?;
..................
8 - si parla molto di partecipazione, oggi le amministrazioni se ne appropriano mettendo in campo dei processi che realmente non hanno niente a che fare con la partecipazione cittadina. Che ne pensi?
Si spesso il termine è abusato con una evidente manipolazione del consenso. Le decisioni vengono sempre prese dall’alto, quasi sempre non in modo trasparente e i dibattiti con i cittadini, presentati come strumenti partecipativi, hanno l’obiettivo di far passare “democraticamente” scelte non sempre condivise.

9 - Esiste una architettura partecipativa? Funziona? (qualche esempio);
C’è anche una trasformazione partecipata, come quella del piano regolatore, con al centro la tutela delle risorse aria, acqua, suolo, della qualità dei vita quotidiana degli abitanti, e perché no anche dello sviluppo, pur nel quadro generale della sostenibilità. Mi chiedo se sia davvero proponibile un modello di questo genere, in città medio grandi che hanno sempre più bisogno di nuove alloggi, oppure si può realizzare solo nei piccoli borghi mummificati per esigenze “turistico-culturali” dove si praticano piani «esemplari»? Verrebbe da rispondere: certo che si, attraverso appunto gli strumenti della pianificazione territoriale, che servono proprio a questo. Non a caso, il centrodestra da sempre cerca di sabotare dall’interno proprio queste conquiste del secolo scorso, dove anche oltre la mediazione e discrezionalità politica trovano una camera di compensazione varie esigenze, soggetti, culture e prospettive.
10 - qual'è il ruolo dell'architetto nella progettazione socio urbanistica della città?;
.......................................
11 - Come sarà secondo voi Livorno nel 2060 e come sperate che sia?;
Beh questo mi sembra sia il tema che stiamo affrontando, la risposta potrà arrivare solo tra qualche tempo.

12 - alcuni architetti sono abituati a lavorare in gruppo, pensi che lo spirito collaborativo possa realmente funzionare per progettare la città?;
Gli architetti, ma non solo loro, dovrebbero sempre lavorare in gruppo. Oggi in modo particolare vista le specializzazione necessaria per affrontare i temi che ci vengono proposti. Il mio studio ad esempio, che si occupa esclusivamente di architettura sostenibile e di energie rinnovabili, collabora con ingegneri di varia formazione (ambientale, meccanica, elettrotecnica etc.), ma anche con agronomi, dottori forestali, economisti, etologi, ornitologi, e sociologi. ll confronto e i diversi contributi arricchiscono le risposte che riusciamo a dare ai nostri committenti, quasi sempre enti pubblici.

13 - Come sta andando nel gruppo di Livorno 2060?;
Sta cominciando a focalizzare l’attenzione su alcuni temi molto interessanti che andranno approfonditi: il primo in assoluto mi sembra sia quello del verde, nell’accezione più estesa del termine.

lunedì 18 ottobre 2010

Domande di Alessandra Poggianti per "Il Tirreno" e prossimo incontro.

Venerdì scorso Alessandra Poggianti, dopo essere stata aggiornata degli sviluppi dell'ultimo incontro, dell'idea di fare "azioni" con seed bombs o altro, volendo scrivere al più presto un articolo su Il Tirreno (l'argomento è stato approvato con entusiasmo dal capo redattore della cronaca di Livorno) ci ha sottoposto alcune domande alle quali rispondere in forma breve. Chi vuole può rispondere a una o più domande così che Alessandra possa farsi un'idea dei diversi punti di vista ed elaborare un articolo il più condiviso possibile.

Ecco le domande:

che cos'è Livorno 2060?
perchè formare un gruppo di architetti e artisti per immaginare una città futura?
quali risultati ti aspetti da questo gruppo di lavoro?
esiste una città ideale? Qual'è secondo te?

perchè partire dal verde pubblico?
qual'è la funzione di uno spazio verde nella città?
come nasce l'idea delle Seed Bomb?
si parla molto di partecipazione, oggi le amministrazioni se ne appropriano mettendo in campo dei processi che realmente non hanno niente a che fare con la partecipazione cittadina. Che ne pensi? Esiste una architettura partecipativa? Funziona? (qualche esempio)

qual'è il ruolo dell'architetto nella progettazione socio urbanistica della città?
Come sarà secondo voi Livorno nel 2060 e come sperate che sia?
alcuni architetti sono abituati a lavorare in gruppo, pensi che lo spirito collaborativo possa realmente funzionare per progettare la città? Come sta andando nel gruppo di Livorno 2060?

Inoltre è stata fissata la data per il prossimo incontro per mercoledì 27 Ottobre alle ore 18.00 sempre in via Michon.

Alessandra ha anche richiesto una o più foto da inserire nello spazio dedicato all'articolo e abbiamo pensato che oltre a qualche nostra foto scattata mentre ci riuniamo potremmo fornirle qualche scatto di luoghi degradati della città, sui quali vorremmo intervenire in futuro, oppure una fotoelaborazione di luoghi significativi della città "invasi" da alberi e vegetazione più o meno spontanea .... Anche su questa richiesta ognuno elabori proprie idee e se ci riusciamo per venerdì portiamo già qualche immagine sulla quale discutere.

Alla prossima.

lunedì 11 ottobre 2010

Da quando abbiamo iniziato ad incontrarci e a parlare insieme delle nostre visioni sulla Livorno del futuro ho sempre provato una strana sensazione e in effetti non sono mai riuscita a sentirmi attratta da alcun progetto specifico, niente da poter veramente esporre in una mostra.
Piuttosto se penso a Livorno tra cinquant’anni ho visioni di una desolazione incredibile, di una città volutamente degradata esteticamente e culturalmente, abitata da cittadini mediocri senza alcun anelito verso qualsiasi tipo di miglioramento.
Le premesse, se me lo consentite, ci sono tutte.
Amo la nostra città in una maniera quasi viscerale. Ci sono nata, e per molti anni ho pensato che ci avrei pure passato tutta la vita. Da qualche tempo, però, non riesco più a guardarmi intorno senza provare sgomento e pensare che probabilmente è stato toccato una specie di punto di non ritorno oltre il quale non si può far altro che rotolare verso un impoverimento e una disgregazione senza fine.
Pessimista? Forse. Eppure……
Mossa da questi pensieri cupi sono sempre venuta agli incontri pensando che se avessi dovuto creare qualcosa di mio per Livorno 2060 si sarebbe trattato senz’altro di qualche tipo di azione diretta a scuotere la coscienza dei nostri concittadini, qualcosa di educativo per intenderci.
Dopo le ultime discussioni sui nostri progetti di bombe verdi e dopo la visione del filmato portato da Andrea mi sono messa a studiare un po’ su internet e devo dire che mi si è aperto un mondo.
Navigando in qua e in la sui siti dedicati all’argomento si scopre che in giro per tutto il mondo c’è un vero e proprio sollevamento dei cittadini contro la condizione di fruitori impotenti della città in cui sono relegati.
Si scopre che negli Stati Uniti da 40 anni i cittadini di New York si appropriano di aree degradate per portarle a nuova vita, che fior di studi dimostrano come l’essere umano sia portato ad elevarsi e a modificarsi in relazione all’ambiente urbano che lo circonda, che gli orti urbano sono considerati come una sorta di nuova frontiera alternativa al problema della nutrizione di future città sovrappopolate oltre che strumento sociale e che, in definitiva, la città siamo Noi, ed è nostra responsabilità. E per Noi intendo tutti coloro che questo problema lo affrontano, quelli che si sono accorti che la situazione è sotto lo standard dell’accettabilità e che si chiedono cosa fare, le persone che sanno a cosa si può anelare e che anche solo fondando un movimento o riunendo un po’ di menti creative o mettendo insieme un gruppo di architetti e di artisti un po’ inquieti e visionari cercano di trovare una soluzione.
C’è veramente di tutto e vi assicuro che è come osservare una marea sotterranea e speciale, mi piace pensare che sia la marea del cambiamento.
Ed ecco qua la mia idea per Livorno 2060.
Penso che dovremmo essere noi stessi, in definitiva, il risultato del lavoro. Mi spiego.
Se ci pensate bene tutti insieme siamo una potenza. Da quanto tempo Livorno non vedeva professionisti e artisti riuniti insieme per creare qualcosa di nuovo? Non sono forse state da sempre le interazioni fra creativi a dare vita ai movimenti culturali? Cosa può succedere se i professionisti invece che cercare di fregarsi il lavoro a vicenda cercano di crearne di nuovo per tutti?
Dovremmo trovare uno spazio fisso, dove poterci ritrovare con regolarità, istruirci vicendevolmente e chiamare altri a farlo. E soprattutto lavorare. Il nostro spazio sarebbe la mostra permanente delle idee che produrremmo, dove poter organizzare esposizioni, letture, installazioni o qualsiasi iniziativa venga varata da ciascuno di noi e che possa interessare il progetto di una città migliore. Un laboratorio aperto e costante, che non si ferma mai, promuove azioni e le trasforma in arte e architettura.
Quindi ecco qua il mio progetto: siamo NOI. E all’interno di questo contenitore chi più ne ha più ne metta.
 
Erika
P.S= Visti i nostri propositi di piantumazione dedico a tutti una poesia di "Hesse" che oltre ad essere un grande scrittore era pure un abile giardiniere!

Il sogno del giardiniere
di Herman Hesse, da "In giardino" Guanda 1994

Cosa nasconde nella scatola magica la fata dei sogni?
Anzitutto una montagna del miglior concime!
Poi un sentiero dove non crescono le erbacce,
un paio di gatti che non divorano gli uccelli.

Polvere poi, che appena sparsa sulle zecche
Trasforma le foglie in un fiorir di rose,
inoltre robinie nel palmeto
da dove trarre un copioso raccolto.

O fata, fa’ che per noi l’acqua scorra
Ovunque abbiamo piantato e seminato;
donaci spinaci che non mettano i fiori
ed una carriola che da sé si muova!

E ancora: un veleno efficace per i topi,
stagioni incantate invece di grandine insidiosa,
dalla stalla a casa un piccolo ascensore
ed ogni sera una schiena nuova.

domenica 10 ottobre 2010

links

condivido con voi forse alcuni primi links che mi sono venuti alla mente, che possono essere utili:

Max Weber e le sue teorie sulla sociologia urbana

http://it.wikipedia.org/wiki/Max_Weber

Walter Benjemin e i Flaneur

http://it.wikipedia.org/wiki/Flâneur

Debord, i situazionisti e la psicogeografia

http://it.wikipedia.org/wiki/Psicogeografia

Constant e New Babylon

http://www.wikiartpedia.org/index.php?title=New_Babylon

http://www.wikiartpedia.org/index.php?title=Nieuwenhuys_Anton_Constant

Giuseppe Culicchia, Torino e' casa mia

http://www.wuz.it/archivio/cafeletterario.it/369/8842075841.htm

Prato chine Guide

http://www.renshi.org/guide.html

Stazione Livorno. Una guida per la città

http://takeiteasymagazine.splinder.com/post/10690927

Luca Vitone Wide City

http://www.interculturemap.org/EN/arts/case_study_arts.php?case_study_id=105

Stefano Boccalini

http://www.isolartcenter.org/index.php?p=1131987214&i=1131988673&z=1142346023

bert theis e out (http://www.officeforurbantransformation.org/#)

altri nomi di artisti che lavorano nello spazio urbano

jorge macchi, francis alys, marietica potrc (http://www.potrc.org/), superflex (http://www.superflex.net/), torolab, http://torolab.org/, ......

per arte e ecologia:

tue greenfort http://www.tuegreenfort.net/

andrea carretto raffaella spagna http://www.esculenta.org/

...ongoing webography...

venerdì 8 ottobre 2010

Un pò di svago

Il tempo libero di Gino

La casa del ritrovamento si trovava in Via Bob Dylan, già Via U. Foscolo, traversa di Viale dei Pooh, già Viale G. Carducci: da quando gli eletti a cariche locali provenivano soprattutto dal mondo dello spettacolo e del varietà, come del resto accadeva anche in parlamento, c'era stato un forte impulso a cambiare le denominazioni di vie e piazze con i nomi di famosi colleghi del passato di sindaci ed assessori. Era una palazzina residenziale, non lontana dall'A-Temp del Corallo, dove Gino andava ogni tanto per “staccare la spina”.

L'A-Temp del Corallo era stato il primo di una serie di strutture simili, dislocate sull'intera penisola, di proprietà della giovane signora che li aveva inventati sul finire degli anni 10. La catena degli A-Temp del Corallo era la migliore ed otteneva sempre il punteggio più alto nella guida del Gambero Illuminato, un pubblicazione specializzata di antica fondazione che aveva cambiato la sua denominazione non tanto per l'arguzia delle sue recensioni, quanto per il fatto che i gamberi, a seguito delle frequenti falle petrolifere negli oceani, abbandono di scorie e rifiuti di ogni genere sui fondali, sversamenti di prodotti chimici portati in mare dai fiumi, da rossi erano diventati luminescenti.

Quando poteva Gino andava volentieri a coltivare qualche pianta nelle aiuole collettive dell'A-Temp o a sfornare una croccante pagnotta di farina artica da gustare lentamente tra le suggestive architetture delle antiche terme (la grande calura aveva drasticamente ridotto la produzione del grano alle nostre latitudini e la farina ora proveniva quasi tutta dalle zone più settentrionali della Groenlandia o del Canada più vicine all'artico, dove il clima era diventato temperato e più adatto alle coltivazioni di frumento).

Mentre si avvicinava con trepidazione al luogo della scoperta, Gino faceva anche un pensierino ai guadagni che avrebbe potuto ottenere. Se fosse andata bene poteva pagarsi un bel viaggio. Aveva una gran voglia di andare al Carnevale di Rio, che quest'anno si sarebbe svolto a San Diego, in California.

Era un bella esperienza. La traversata sarebbe stata effettuata via mare: i velieri solcavano nuovamente gli oceani, invelati con gigantesche vele coperte di pannelli fotovoltaici, comandate da computer che le orientavano e le manovravano per il miglior sfruttamento del vento; al contempo i pannelli catturavano l'energia che serviva per tutti gli impianti elettrici della nave o per alimentare motori ausiliari in caso di assoluta mancanza di vento. I velieri andavano piuttosto lentamente ed il viaggio fino a San Diego, con l'attraversamento del canale di Panama allargato di recente, poteva durare qualche settimana, ma il Carnevale di Rio per Gino valeva l'impresa.

Tra le condizioni del trattato di annessione del Brasile agli U.S.A. come 51° stato dell'unione, firmato a Washington il 4 luglio del 2042, c'era anche quella che stabiliva che ogni 4 anni (come le olimpiadi), il Carnevale di Rio si tenesse in una città del nord America. La trasformazione del Brasile in uno stato yankee non fu il risultato di un golpe o di un'occupazione bellicosa da parte degli U.S.A., ma la conclusione naturale di un lungo e capillare insediamento delle forze armate americane nel territorio amazzonico. Fu anzi l'ONU, in accordo con il governo di Brasilia, ad invocare l'aiuto della prima potenza militare del pianeta per cercare di fermare la deforestazione illegale dell'Amazzonia.

Nonostante i pattugliamenti dello scarso esercito carioca, le azioni dei commando dell'ONU, le ricognizioni aeree ed i rilevamenti satellitari, le gigantesche segherie insediate all'interno della foresta, veri e propri agglomerati urbanizzati dediti esclusivamente al taglio delle piante ed alla lavorazione del legname, e le migliaia di piccole bande di letali deforestatori di contrabbando, continuavano implacabili a distruggere la foresta dell'Amazzonia. Il cartello delle grandi industrie del legno aveva il suo esercito, mezzi efficaci di difesa, una estesa rete di spie e soprattutto stretti legami con il potere politico, anzi i suoi più potenti rappresentanti erano loro stessi al potere.

Alla fine ci si rese conto che solo l'invincibile macchina bellica americana poteva fermarli. Ma il territorio da controllare e difendere era veramente esteso e remoto e così, dopo i primi contingenti di soldati, un po' alla volta il trasferimento aumentò fino a che il grosso dell’esercito U.S.A. si ritrovò in Brasile. I marines si trasformarono in “Guardiani della Foresta”. Il fatto è che i militari lì ci si trovavano assai bene, bel clima, buon cibo, belle spiagge, splendide ragazze... ed i brasiliani erano ben contenti di salvare la loro foresta, ma soprattutto della gigantesca massa di dollari portata dagli americani, che rinvigoriva la loro economia. Le operazioni militari non furono poi così difficili: i rudi generali made in U.S.A. dimostrarono subito che contro la loro efficienza c'era poco da fare ed i grandi industriali scesero prontamente a patti. Abbandonarono immediatamente le imprese in foresta e si dedicarono all'attività edilizia lungo le splendide coste oceaniche del Brasile, in società con i businessmen U.S.A., che accorsero a frotte.

Per le piccole bande era solo un problema riuscire a scovarle, ma poi si arrendevano subito. Ci vollero comunque svariati anni per riuscire a stanarle tutte; nel frattempo i soldati americani avevano preso casa lì, quelli con famiglia avevano chiamato mogli e figli ed i quadri dell'apparato burocratico - militare del Pentagono vivevano quasi tutti a Rio de Janeiro. Alla fine ci si rese conto che ormai il Brasile era a pieno titolo uno stato U.S.A. La foresta era salva e gli stati dell'unione uno di più. La firma del trattato fu una faccenda snella e veloce, ben accetta da entrambe le popolazioni e, fra le tante innovazioni dell'accordo, ci fu appunto il Carnevale di Rio in uno stato del nord ogni quattro anni. La prima città, come facilmente prevedibile, fu New Orleans, poi Las Vegas, Atlantic City e così via. Questa volta toccava a San Diego, California.

Nel sottoscala scoperto da Lapo, Gino aveva trovato due antichi HP completi di ogni parte e quindi anche dell'hard disk; ora si trattava di vedere se i dati esistevano ancora o se erano stati distrutti dai virus; non era un lavoro semplicissimo: queste vecchie macchine andavano ben ripulite e controllate prima di tentare il riavvio; ci avrebbe lavorato lunedì: oggi era sabato e voleva portare i nipoti al mare.

Ai ragazzi piaceva molto la sabbia ed il posto più vicino era Tirrenia, ma purtroppo l'accesso alla spiaggia era interdetto, poichè tutto era stato privatizzato. Dopo la ristrutturazione delle colonie, che, contrariamente alle previsioni di molti, avevano avuto un grande successo, le amministrazioni pubbliche, come al solito in ristrettezze finanziarie, avevano venduto tutto il tratto di costa fino a Marina di Pisa ed un numero enorme di appartamenti per le vacanze estive era stato edificato lungo il litorale, diventato quindi inaccessibile. I cittadini di Livorno, abituati al loro bel mare si chiedevano chi mai potesse essere interessato alla balneazione nelle acque inquinate da raffinerie, scolmatori, gassificatori di quel tratto di costa, ma i valligiani della val d'Arno, santacrocesi, empolesi, fucecchiesi, comprarono tutto senza problemi, anzi contenti di rivedere lo stesso colore cangiante tra il verdognolo ed il marrone del fiume che attraversava i loro paesi.

Così Gino per far giocare Googla e Nokio sulla sabbia doveva andare fino a Форте дей Марми. Anche se il viaggio era un po' lungo e c'erano problemi con la lingua, a Gino l'amena località versiliese piaceva molto. Tutto era ben tenuto e pulito, molto verde, belle ville, bei negozi... proprio un bel posto. Certo se i ragazzi volevano un gelato al mirtillo con granella di nocciole e mompariglia verde o una schiacciatina con soppressata e melanzane ma senza salsa rosa, la traduzione in russo (lingua ufficiale della cittadina, peraltro unica località dove “Il Vernacoliere” era distribuito in versione bilingue, livornese e russa) non era facile, ma con i cellulari bastava digitare la frase ed il telefono stesso vocalizzava un'impeccabile richiesta nella lingua madre dell'inserviente.

Purtroppo quando si andava al mare non si poteva stare al sole (lo strato di ozono era molto assottigliato e le radiazioni ultraviolette troppo intense) ed anche le balneazioni dovevano essere veloci. Si oziava tutto il giorno, rilassati sui lettini, all’ombra di pesanti tendaggi, ben impiastricciati, per maggior sicurezza, da creme solari con un fattore protettivo a tre cifre... Mentre i bimbi costruivano felici i guggenheim di sabbia (gli archetipi non erano più i castelli ma le nuove realizzazioni degli architetti di grido), Gino occhieggiava le giovani ed avvenenti ereditiere delle facoltose famiglie moscovite, che venivano a villeggiare nelle loro lussuose dimore versiliesi... le gite a Форте дей Марми erano un vero diletto.

Qualche settimana addietro, Gino, con un'insperata botta di fortuna ne aveva rimorchiata una e per fare bella figura l'aveva portata al Palio di Siena, che lei non conosceva. La ragazza era rimasta affascinata dalle sfilate in costume, dagli sbandieratori, dal tifo dei contradaioli e soprattutto dalla corsa finale, che aveva visto il trionfo dell'Istrice, parola per lei sconosciuta. Gino le aveva spiegato che quella contrada prendeva il nome da un animale assai curioso, pieno di aculei, piuttosto comune nel secolo precedente, ma ora estinto.

La gara era stata entusiasmante ed il fantino della Civetta aveva conteso il primo posto al vincitore fino all'ultimo: il risciò dell'Istrice aveva vinto per pochi centimetri. A nulla erano servite le incitazioni, gli sproni e le frustate al portatore della Civetta, l'altro era troppo forte. Gino le raccontò che fino agli anni venti il Palio si correva su cavalli, poi gli animalisti, che già avevano fatto abolire le cruente corride, fecero fermare anche la corsa senese, gettando nello sconforto e nella delusione i contradaioli, che non volevano rinunciare alla loro tradizione plurisecolare.

Per fortuna qualcuno ebbe l'idea di gareggiare con i risciò nella loro forma più tradizionale, cioè trainati da un uomo. Con la crisi energetica il risciò era diventato un mezzo di trasporto cittadino assai diffuso; ne esistevano di svariati tipi, a pedali, ad energia solare, a vela... ma quelli faticosamente trascinati dall'uomo erano quasi del tutto scomparsi. Si pensò invece di adottarli per il Palio di Siena ed in molte altre competizioni, dove i cavalli venivano particolarmente stressati e quindi proibiti.

I portatori erano uomini forti e possenti, che si dedicano esclusivamente a questa attività, allenandosi duramente per tutto l'anno; erano richiesti in tutto il mondo e ricevevano lauti compensi per gli ingaggi, con premi da capogiro in caso di vittoria. I fantini, cioè quelli che venivano portati sul risciò, dovevano invece avere una corporatura minuta e pesare poco. Entrambi vestivano i colori delle contrade ed il portatore subiva l'identico trattamento rituale riservato anticamente al cavallo, compresa la benedizione in chiesa prima della gara, lasciando perplessi i senesi, abituati a vedere un cavallo davanti all’altare prima della corsa e non un cristiano.

I mezzi erano ovviamente un concentrato di alta tecnologia ed erano costruiti dalle più famose case automobilistiche di un tempo; i risciò della Ferrari, insieme a quelli della McLaren, aziende che fino alla metà degli anni 30 avevano primeggiato in formula uno, erano richiestissimi ed a Maranello si lavorava a pieno ritmo.

Recentemente era stata reintrodotta anche la possibilità di frustare gli “animali”, che adesso erano protetti da caschi integrali e spesse corazze in fibra di carbonio, leggere ma robuste e di fatto la frustata non aveva alcun effetto sul portatore, se non quello di aumentare la spettacolarità della gara, specialmente sul finale. A Siena i contradaioli avevano con gioia riesumato i tendini di bue essiccato, i frustini originali della tradizione...

Qualche volta Gino, quando proprio non sapeva cosa fare, trafficava con i suoi file anche di domenica, ma di certo non questa: non voleva perdersi l'inaugurazione allo stadio “C. Lucarelli” (era stato ribattezzato col nome di una gloria del calcio labronico più recente) del nuovo “Spazio Scontri”, che Livorno, seguendo l'esempio delle città più all'avanguardia del nord, aveva allestito all'interno della sua struttura sportiva.

Vista l'impotenza nei confronti della violenza sempre più dilagante negli stadi, alcuni sociologi negli anni venti avevano avanzato la sconcertante proposta di alimentarla e favorirla anziché reprimerla, in modo che gli ultrà potessero sfogare tutta la loro rabbia prima e la partita si giocasse poi senza problemi.

Naturalmente dovevano essere scontri in qualche modo controllati e svolti in sicurezza e così venne l'idea di costruire delle aree, adiacenti al campo di gioco e ben visibili da tutte le tribune dove, prima dell'evento sportivo, le formazioni degli ultrà più accaniti e feroci venivano gettate allo sbaraglio le une contro le altre. Erano anche armate, ma con strumenti appunto riadattati: bastoni cavi piuttosto fragili, coltelli con deboli lame di latta, fionde caricate con palline di gomma soffice e razzi a salve che facevano solo rumore. La replica delle armi in uso sugli spalti prima di questa idea: spranghe di ferro, machete affilatissimi, biglie di acciaio, granate... solo che ora, pur avendo lo stesso aspetto ed anche una certa capacità offensiva (un po' di sangue doveva comunque scorrere) non avevano l'efficacia mortifera di quelle che un tempo ogni domenica producevano morti e feriti.

Gli ultrà, dopo la diffidenza iniziale, cominciarono ad accettare questi scontri così diretti; anzi si sentivano dei veri e propri gladiatori (lo Spazio Scontro per precauzione era ben recintato da alte gabbie ed i percorsi di accesso dei combattenti ricordavano proprio l'arena ed i cunicoli del Colosseo), lieti di scaricare tutto il loro accanimento contro gli avversari ed orgogliosi di mettere in mostra lo spirito di sacrifico verso la propria squadra; per di più il pubblico sugli spalti andava in visibilio, adottando subito il pollice verso se c'era da “finire” un interista, uno juventino, un pisano.....
Qualcuno cominciava già a preoccuparsi che gli incontri di calcio sarebbero presto scomparsi per lasciare il posto ai novelli mirmilloni e chissà, magari anche qualche felino prima o poi sarebbe sceso in campo....

Gino fantasticava sorridendo che se un antico romano si fosse improvvisamente materializzato su quelle tribune, a parte qualche dettaglio nell'abbigliamento e gli strani apparecchi che gli umani si avvicinavano continuamente al volto parlandoci dentro, non avrebbe notato alcuna differenza con i sui tempi e vedendo i combattimenti ludici si sarebbe detto: “.. ma come!!... in 2060 anni non hanno inventato ancora nulla di nuovo!?!”


giovedì 7 ottobre 2010

L'uomo che piantava gli alberi

Ieri andrea ci ha fatto conoscere un filmato che personalmente ho apprezzato molto, sia nel contenuto che nella "grafica". Dato che non tutti erano presenti vi segnalo un link per vederlo su youtube http://www.youtube.com/watch?v=D_OyNAx-cK0&feature=related. Questa dovrebbe essere la prima parte poi da li dovreste troverare facilmente anche la seconda e la terza.